Il tessuto produttivo cremonese è indubbiamente
agricolo, ma nel Novecento vi si è sviluppato un altro fiorente “tessuto”,
quando dall'Inghilterra la Rivoluzione Industriale del Settecento si
diffuse nell'Europa centrale (Germania, Francia, Belgio) e arrivò in
Italia alla fine dell'800 soffiando con venti impetuosi, che cambiarono per
sempre il nostro modo di produrre e di vivere. L'industria tessile, che
fino all'Ottocento utilizzava il telaio ed era essenzialmente un'attività
manuale, artigianale o scarsamente meccanizzata, diventò un'industria: aveva
bisogno di spazi e mani abili, di fonti d'energia idraulica e termica.
Industria con luci e ombre: si sviluppò e richiamò tante persone che vivevano di agricoltura, provocando il progressivo spopolamento delle campagne e problemi sociali quali la depressione e l'alcolismo. Ma diede finalmente la possibilità di lavorare anche alle donne, fino ad allora impegnate soprattutto in attività casalinghe e familiari.
Il lavoro femminile divenne un valore pur tra mille difficoltà legate, per esempio, allo sfruttamento di donne giovanissime e in gravidanza, o al lavoro notturno. Donne e bambini lavoravano di più, erano pagati di meno. La meccanizzazione agricola, arrivata in un secondo momento, ha portato all'aspetto attuale delle nostre campagne: agricoltura, allevamento e trasformazione che convivono fianco a fianco, spesso in conflitto ma necessariamente interdipendenti. Oggi l'industria tessile si svolge in Paesi lontani, dove si ricercano solo il profitto e la redditività. In generale con la crisi del modello industriale stiamo assistendo al passaggio inverso, che ci fa riscoprire il valore della terra e le possibilità di impiego che questa offre. Archeologia industriale e recupero di fabbricati dismessi sono una maniera per avvicinarci all'industria com'era, e come non sarà più. Almeno da noi.
Industria con luci e ombre: si sviluppò e richiamò tante persone che vivevano di agricoltura, provocando il progressivo spopolamento delle campagne e problemi sociali quali la depressione e l'alcolismo. Ma diede finalmente la possibilità di lavorare anche alle donne, fino ad allora impegnate soprattutto in attività casalinghe e familiari.
Il lavoro femminile divenne un valore pur tra mille difficoltà legate, per esempio, allo sfruttamento di donne giovanissime e in gravidanza, o al lavoro notturno. Donne e bambini lavoravano di più, erano pagati di meno. La meccanizzazione agricola, arrivata in un secondo momento, ha portato all'aspetto attuale delle nostre campagne: agricoltura, allevamento e trasformazione che convivono fianco a fianco, spesso in conflitto ma necessariamente interdipendenti. Oggi l'industria tessile si svolge in Paesi lontani, dove si ricercano solo il profitto e la redditività. In generale con la crisi del modello industriale stiamo assistendo al passaggio inverso, che ci fa riscoprire il valore della terra e le possibilità di impiego che questa offre. Archeologia industriale e recupero di fabbricati dismessi sono una maniera per avvicinarci all'industria com'era, e come non sarà più. Almeno da noi.
Per conoscere com'era la produzione industriale nel
Novecento, andiamo alla scoperta della provincia di Cremona proprio da dove la
tessitura è diventata un'attività industriale: io uscirò da questa visita non
solo colpita dalla grandezza dell'opera, ma dai forti messaggi sociali che i
suoi costruttori seppero promuovere, sante parole oggi in gran parte gettate al
vento. Il Villaggio Operaio Crespi a Crespi d'Adda è un cotonificio che
fu fondato dall'omonima famiglia di imprenditori illuminati, Cristoforo,
Benigno e Silvio Crespi, padre e figli, nativi di Busto Arsizio in provincia di
Varese che costruirono qui, alla confluenza dell'Adda col Serio, il loro impero
basato sul cotone. La materia prima arrivava da terre più calde come Egitto,
Russia, Cina, India, nulla di nuovo sotto il sole.
Oggi Villa Crespi è anche Patrimonio dell'Umanità UNESCO.
In Italia si possono visitare anche il villaggio Leumann di Torino e il villaggio
Rossi di Valdagno. I villaggi operai sorsero per avvicinare le maestranze
ai luoghi di lavoro, ospitavano operai e impiegati, in questo caso 4000 persone
più le famiglie, offrivano i servizi sociali e pubblici per tutte le età della
vita. Vi erano quindi la scuola e la biblioteca, la chiesa e posto di primo
soccorso, il lavatoio e il cimitero, tutto come in una piccola città. Il luogo
di lavoro si identificava col lavoro stesso, la qualità della vita coincideva
con la qualità del lavoro, soprattutto in assenza di risposte concrete dello
Stato alla richiesta di adeguati servizi sociali. L'imprenditore illuminato
aveva il merito di accudire e sostenere i suoi dipendenti, la qualità della
vita e del lavoro, la produttività insomma, miglioravano, almeno nelle
loro intenzioni.
Oggi passeggiando per le strade del Villaggio Crespi sembra di
essere nei sobborghi di una cittadina inglese: a parte il sontuoso
ingresso in ferro battuto, ogni edificio ha una funzionalità precisa,
un'armonia di forme e colori (il tricolore della bandiera italiana è una
costante), un fazzoletto di terra da coltivare. Peccato che a 10 anni dalla
chiusura della struttura, 400 persone o poco più siano rimaste ad abitare qui,
in attesa di nuovi investimenti e della conversione del complesso. Noi
torneremo a vederlo, chissà che le porte dello stabilimento oggi chiuse si
aprano, e che il vuoto all'interno degli edifici produttivi si riempia di vita
com'era una volta. Speriamo bene.
Tessuto agricolo: un tempo era anche un modello
abitativo, fatto di grandi edifici per famiglie numerose con lo spazio per
vivere e per lavorare, con il fienile e la stalla, il locale per gli attrezzi e
l'aia. Le Cascine sono state il nucleo attorno al quale la famiglia,
uomini e donne, bambini e vecchi, indistintamente praticavano le attività agricole
e l'allevamento, coltivando soprattutto i cereali che davano da mangiare
al bestiame e alle persone ma anche ortaggi, alberi da frutto, vigneti.
Costruite in mattoni cotti, il materiale più comodo e leggero da
produrre in loco, le cascine punteggiano il paesaggio della pianura padana
anche se molte hanno rischiato di andare in rovina. La regione Lombardia ha
deciso di recuperarne alcune, con un restauro intelligente grazie al quale oggi
possiamo visitarle e utilizzarle per molte attività.
Noi visitiamo Villa
Carlotta a Spino d'Adda, recentemente restaurata, dove spiccano i materiali
costruttivi utilizzati un secolo fa per la sua costruzione: legno e ferro
accanto al tradizionale mattone. Il corpo centrale è adibito a biblioteca e
cucina per le frequenti sagre, di cui approfittiamo noi stessi all'ora di
pranzo. Assaggiamo alcune specialità lombarde come le salamelle con la polenta,
lo stracotto d'asina, la trippa e i pizzoccheri. Tra i dolci io vado sul
sicuro, sono una grande estimatrice del castagnaccio o, come lo chiamano
qui, patona. Ma provo anche la sbrisolosa, che non ha bisogno di
presentazioni, la spongarda e la torta bertolina, con chicchi
d'uva fragola nell'impasto. Al torrone penseremo più tardi.
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